Elogio della precarietà
Un tema forte dello tsunami stellato è quello della politica come prestito di energie e passioni alla Comunità, regolato da un rapporto di lavoro “dipendente” a tempo determinato tra elettori ed eletti.
Le onde vorrebbero travolgere così gli ultimi politici di professione, i partiti dei burosauri mantenuti a nostre spese, la casta geriatrica auto-illuminata di uomini e donne senza qualità (quelle apprezzate nel mondo reale). Quest’igiene forzata è forse dolorosa e rischiosa, come la rimozione della crosta su una ferita da rimarginare, ma inevitabile in una situazione in cui tattiche e strategie inconcludenti, ruberie e meschinità prepotenti hanno ammorbato l’aria ed affamato il popolo.
Alla rifondazione reticolar-democratica che premia il merito e limita gli appetiti – max due mandati e pochi soldi sono condizioni ideali per dare il meglio di sé – va però abbinata una completa ristrutturazione dell’apparato pubblico, che potrebbe clamorosamente beneficiare di una analoga precarizzazione delle risorse impiegatizie.
L’ignobile trattamento dispari tra dipendenti pubblici e privati potrebbe essere sorpassato a mezzo di un nuovo contratto di solidarietà: il lavoro per la collettività, bene comune creato dalla collettività stessa, viene diviso in parti uguali. A spanne: 25 milioni la popolazione attiva italiana, tre milioni e 250 mila gli stipendiati statali, 40 anni di vita lavorativa… fanno minimo 5 anni a testa di lavoro pubblico (non obbligatorio, per carità).
Che bello sarebbe avere nella pubblica istruzione docenti che hanno fatto o fanno per davvero, nella vita, quello che pretenderebbero insegnare… vedere nella pubblica amministrazione funzionari e dirigenti che hanno sperimentato là fuori le immani fatiche del mondo produttivo… responsabilizzare in via diretta tutti i cittadini, per un periodo della loro vita, rispetto al buon funzionamento servizi pubblici!
Il lavoro pubblico come servizio civile, non come merce di scambio in orrende catene clientelari, non come stato di privilegio dove chi è dentro gode e chi è fuori piange e stride i denti, non come resa incondizionata alla mediocrità… restituzione anzi di opportunità diffuse, travaso di conoscenze ed esperienze, un gradino sopra rispetto al “reddito di cittadinanza”.
Oggi in Provincia Autonoma di Trento capita che se un alto funzionario pubblico si dà alla politica “di valle” percepisce lo stipendio pieno, cumula l’indennità di carica e si becca pure il premio di produttività sul tempo speso in permesso retribuito per attività istituzionale.
C’è ancora qualcuno che crede che questo sistema di *diritti*, e relativi sacerdoti sindacali, durerà a lungo?
:DTM. aka Daniele Gubert